La Città di Campli è custode di tante tradizioni siano esse religiose, culturali, etnoantropologiche e gastronomiche, quella della preparazione della Porchetta è una di quelle più antiche. Per ogni camplese la porchetta significa qualcosa d'atavico, rappresenta una cultura culinaria che da secoli e secoli si è tramandata per generazioni.
Nella città Farnese per epoche questo cibo è stato presente sulle tavole di principi, vescovi, nobili e popolo. La sua prelibatezza già si esaltava nei banchetti aristocratici e nelle piazze cittadine, durante le numerose fiere e il mercato settimanale domenicale istituiti già nel Duecento.
La porchetta a Campli fa, quindi, parte del "paesaggio" cittadino, è un "luogo" comune, la sua sagoma sembra integrarsi perfettamente nel contesto architettonico del tessuto urbano del centro storico. Il suo "mondo", fatto di uomini e luoghi, è entrato nel DNA di ogni camplese.
I resti di maiale nel villaggio italico su palafitte dell'età del bronzo nel borgo di Coccioli, oltre la "fiumana", ne è la testimonianza più antica. In Italia il maiale veniva allevato già dagli Italici, dagli Etruschi, nelle città della Magna Grecia e naturalmente dai Romani. Gli Etruschi raffinati buongustai inventarono i forni da Porchetta la cui utilizzazione venne tramandata ai Romani, ai barbari invasori e agli uomini del Medioevo. In un contesto mediterraneo antico i prodotti e le condizioni climatiche hanno generato, nel mondo greco, latino, osco (Abruzzo, Molise, Irpinia e nord Puglia) ed etrusco una cucina per molti versi assai simile.
Nel mondo romano, il maiale veniva accostato anche a divinità italiche o latine. A Maia, dea della fecondità e del risveglio della natura in primavera […].
In Abruzzo, sin dal Medioevo, i porchettai più rinomati sono stati sempre quelli di Campli e di Ripa Teatina. I porchettai camplesi dovevano essere famosi per la loro arte perchè vendevano la loro specialità anche fuori dal nostro territorio, nonostante le gabelle alzavano il costo del prodotto.
Bisogna considerare, poi, in un concetto di microeconomie territoriali, che si usava la regola di consumare in loco i prodotti dell'agricoltura del contado, scoraggiando la loro commercializzazione al di fuori dell'area comunale da salvaguardare come risorse. Nella fiorente "Università" di Campli si potevano contare numerose fiere e un mercato settimanale istituito già dal 1293 (vera e propria rarità). Le Porchette sicuramente erano vendute, nelle piazze e nelle vie della città, in queste occasioni. I viandanti e i commercianti venuti da fuori dovevano conoscere la prelibatezza delle porchette dei maestri camplesi, e magari ne vantavano la bontà in altri borghi e città del teramano e oltre.
La Porchetta (come la carne vaccina e il pesce) non poteva essere venduta se prima il Camerlengo (l'equivalente del moderno Sindaco) non ne aveva accertato la qualità e stabilito il prezzo. A tale scopo al Camerlengo, se si trovava presente, o al Capo del Reggimento, o chi per lui, spettava una libra di Porchetta. La porchetta Camplese quindi era un prodotto tutelato da qualsiasi contraffazione: per la sua realizzazione non si poteva usare altra carne, neanche quella di verro o scrofa (venduta fresca in banchi separati); la cottura doveva essere giusta, con la crosta croccante e le carni profumate e sgrassate (la Porchetta poco cotta pesava di più e rendeva meglio) [...].
Da tempi immemorabili, ogni festa a Campli si trasforma in una specie di Sagra della Porchetta, perchè il panino farcito dalla fragrante e profumata carne di porco arrostita al forno, era e rimane l'attrattiva principale di tutte le manifestazioni di convivio.
Ma quando nacque la Sagra della Porchetta a Campli? La festa più grande della città, da sempre, era quella dei primi di settembre dedicata, all'Immacolata Concezione venerata nella Cattedrale di Santa Maria in Platea. Dalla fine degli anni quaranta del Novecento, a organizzare la festa c'era uno specifico comitato presieduto dal Sindaco.
Nel 1964 il nuovo parroco appena insediato, don Antonio Mazzitti, volle gestire personalmente la festa dedicata alla Compatrona della città, per riportarla su canoni più religiosi e meno festaioli. Al battagliero Sindaco Ubaldo Scevola la cosa non andò a genio: in accordo con la locale Pro-loco promosse immediatamente una commissione di esperti per "pensare" una nuova manifestazione capace di rilanciare il Comune e divertire i camplesi. Si convocarono Arturo Favazzi, direttore dell'Ente Provinciale per il Turismo, e Fernando Aurini, giornalista che per primo aveva saputo valorizzare e promuovere l'enogastronomia teramana. Per la festa subito si pensò di puntare sulle straordinarie qualità gastronomiche camplesi e sul suo prodotto più tipico: la Porchetta. Nacque così, nell'agosto 1964, la Sagra della Porchetta di Campli (la prima Sagra in Abruzzo) che ebbe un successo al di là di ogni più rosea previsioni: presenti 24 produttori, furono vendute più di 80 porchette in poche ore. Alle dieci di sera non si trovava più neanche l'ombra di un panino farcito di porchetta. Vista la moltitudine di folla che sempre accalcava nel centro storico per gustare il cibo rinomato dai camplesi, il Sindaco Scevola ordinò allora la riapertura di tutti i negozi alimentari. Quella sera finirono prosciutti, salami e mortadelle; persino i barattoli di sardelle sotto sale furono "ripuliti" . Da quell'anno la Sagra è diventata l'appuntamento estivo di fine agosto più gradito di tutta la provincia teramana. L'appuntamento che oggi, in cinque giorni, vede finire nella pancia di deliziati avventori oltre 100 mila panini fumanti di rinomata Porchetta (200 e più maiali arrostiti).
Brani tratti dal libro “Porchetta italica di Campli” di Nicolino Farina, giornalista e scrittore camplese